venerdì 30 marzo 2012

Mi innamoravo di tutto, specialmente degli scrittori morti (L'unico scrittore buono è quello morto di Marco Rossari)

Caro Marco Rossari,
è la prima volta che scrivo una lettera ad uno scrittore vivo.
Ne ho avuto conferma leggendo la bandella del tuo libro, dove qualcuno afferma che sei nato.
Non ci sono croci, per cui ho deciso di fidarmi.
De “L’unico scrittore buono è quello morto” ho portato il segno qualche giorno.
In fronte.
Non tipo marchio del demonio, però evidente ecco.
Dillo agli amici tuoi librai che espongano il libro più in basso la prossima volta, che non tutte siamo state baciate dagli Dei.
Appena l'ho avuto fra le mani (mie e quelle che fanno segni) ho pensato: che brutta copertina.
Non era meglio la foto con la faccina spaventata su Pulp?
E mentre perdevo autobus, rischiavo di farmi investire, giungevo a Roma senza rendermene conto, mi alzavo dalla tazza con le gambe intorpidite capivo che eri come me.
Che tu, queste genti ormai decomposte, le amavi.
E poco importava la forma che assumevano, se viscidi e veloci come scarafaggi, se con la barba lunga da Babbo Natale e quella bella scriminatura precisa, se stempiati ed immortali con i loro versi, se stanchi ed infreddoliti dopo le lunghe passeggiate per Dublino, se sbronzi ed infelici nel letto di una sconosciuta.
Tu le amavi.
E pure io ti amo, Marco Rossari.
Perchè sai ridere di questo strano, pazzo di mondo di scribacchini che vorrebbero passare ai posteri, che dedicano libri alle fidanzate senza avere ancora un incipit, che stalkerano la luna e urlano le loro poesie per strada.
Non meriti di stare ad impolverarti su uno scaffale così alto.
(Si, la botta è stata forte.)
Con te, apro una “nuova, entusiasmante stagione di fallimenti” e dico basta ai compleanni festeggiati con il cartonato di Bukowski accanto alla torta.
Vuoi diventare il mio scrittore vivo preferito?
Spuntàla.

L'unico scrittore buono è quello morto, Marco Rossari, Edizioni E/O, 2012

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