Caro Marco Rossari,
è la prima volta che scrivo una lettera ad uno scrittore vivo.
Ne ho avuto conferma leggendo la bandella del tuo libro, dove
qualcuno afferma che sei nato.
Non ci sono croci, per cui ho deciso di fidarmi.
De “L’unico scrittore buono è quello morto” ho portato il
segno qualche giorno.
In fronte.
Non tipo marchio del demonio, però evidente ecco.
Dillo agli amici tuoi librai che espongano il libro più in basso la
prossima volta, che non tutte siamo state baciate dagli Dei.
Appena l'ho avuto fra le mani (mie e quelle che fanno segni) ho
pensato: che brutta copertina.
E mentre perdevo autobus, rischiavo di farmi investire, giungevo a
Roma senza rendermene conto, mi alzavo dalla tazza con le gambe
intorpidite capivo che eri come me.
Che tu, queste genti ormai decomposte, le amavi.
E poco importava la forma che assumevano, se viscidi e veloci come
scarafaggi, se con la barba lunga da Babbo Natale e quella bella
scriminatura precisa, se stempiati ed immortali con i loro versi, se
stanchi ed infreddoliti dopo le lunghe passeggiate per Dublino, se
sbronzi ed infelici nel letto di una sconosciuta.
Tu le amavi.
E pure io ti amo, Marco Rossari.
Perchè sai ridere di questo strano, pazzo di mondo di scribacchini
che vorrebbero passare ai posteri, che dedicano libri alle fidanzate
senza avere ancora un incipit, che stalkerano la luna e urlano le
loro poesie per strada.
Non meriti di stare ad impolverarti su uno scaffale così alto.
(Si, la botta è stata forte.)
Con te, apro una “nuova, entusiasmante stagione di fallimenti”
e dico basta ai compleanni festeggiati con il cartonato di Bukowski
accanto alla torta.
Vuoi diventare il mio scrittore vivo preferito?
Spuntàla.
L'unico scrittore buono è quello morto, Marco Rossari, Edizioni E/O, 2012
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