mercoledì 21 dicembre 2011

Metafisica dei Tubi (ed io che pensavo bastasse il Viakal) di Amélie Nothomb

C’era una volta Amélie Nothomb.
Abito lungo nero, cappotto in velluto, cappello sagomato che Jamiroquai le ruberebbe volentieri, labbra scarlatte.
Si, proprio quella lì, quella che Daria Bignardi ha trattato così. ma prima, quando era soltanto un Tubo Innocente.
Un tubo-bambina in tutto e per tutto pari ad un complemento d’arredo, simile a quella terribile bambola in porcellana di Capodimonte che vi ha regalato vostra zia.
Una deliziosa pianta ornamentale priva di vitalità, dedita solo all’immagazzinamento e all’escrezione.
Dio del mondo e di se stessa, cieca dell’avvicendarsi delle stagioni e dell’allineamento dei pianeti.
Poi.
Poi arriva lui. Dolce, profumato, sensuale, capace di travolgere i sensi.
IL. CIOCCOLATO. BIANCO. BELGA.
Come può l’esistenza essere solo tubo se si è in grado di provare un tale piacere?
Amelie, proprio come le maître chocolatier Lindt, nasce per la seconda volta e con lei danza, ebbro di endorfine, il suo io interiore che conosce e sperimenta l’amore, la morte, il disgusto, l’orrore, la follia, la paura.
La vita, quella che si agita confusa come una falena intrappolata in un vaso.
E lei lo sa, noi lo sappiamo, che tutto passa, che quello a cui siamo legati prima o poi ci lascerà.
Cosa ci resta, allora? Il ricordo.
“Non ho dimenticato nulla che valesse la pena ricordare: il colore verde dell’acqua del lago dove ho imparato a nuotare, l’odore del giardino, il sapore dell’alcol di prugna assaggiato di nascosto… [...]”
E voi?
Avete forse dimenticato il tenero, dolce alito pestilenziale di Marco, il vostro primo amore?
Il libro è bello, bellissimo.
Se poi non volete comprarlo, ve lo regalo io.

Amélie Nothomb, Metafisica dei tubi, Voland edizioni, 121 pp., 2002

Puoi leggere questa recensione anche su http://www.diunlibro.it/

lunedì 5 dicembre 2011

Miracolo a Le Havre: come la gerontofilia mi fece innamorare di un lustrascarpe.

Ho conosciuto Annamaria al corso di teatro del corpo che sto frequentando.
Lei è bella. Ha un'anima turchese.
Ieri sera ad entrambe stavano troppo bene i capelli per restare a casa e allora siamo andate al cinema, ma stavolta senza risparmiare, tanto ci pensava Monti.
Miracolo a Le Havre, ci siamo dette, che poi possiamo fare le filo-francesi scì-scì.
Se anche voi volete fare così, perdeteli cinque minuti qui prima di andare all'Auchan.
Marcel Marx è un signore con la faccia bellissima, che quando lo vedi non puoi evitare di fargli la carezzina.
Di mestiere fa il lustrascarpe.
E' un mondo difficile di plastica cinese ai nostri piedi, ma nonostante tutto lui è contento.
Infatti, se non avesse grande stima di sé stesso, non potrebbe indossare quella giacca di renna per tutto il film.
Questo distinto signore odoroso di tabacco e vino ha una consorte di nome Arletty che ha sempre la stessa espressione vagamente assente, proprio come quella della signora con l'impermeabile che mi chiede i soldi alla stazione.
Non hanno figli, ma possiedono un quadrupede peloso che abbaia a comando.
Ha il nome di tutti i cani del mondo:no, no Rocki, Laika.
E allora vivono tutti felici, lei stira e ruba le sigarette dalla giacca di renna, lui fuma e beve al bar dove ci sta una signora che quando l'ho vista sembrava una nuvola, e poi il fruttivendolo è una brava persona e la fornaia ha dei capelli bellissimi.
Un giorno Marcel, mentre si mangia la baguette (non tutta, un pezzo), vede un povero scurfaniello nero nell'acqua, che gli chiede come si arriva a Londra, ma sempre rimanendo immerso nel liquido.
Il nostro amico gli dice che quella è la Normandia, che lì parlano la langue française, però quello non esce dalla sostanza bagnata.
Marcel che è proprio un bravo cristiano (infatti per tutto il film non ha mai detto una parolaccia, nè dato mai una stampata al cane) decide di aiutarlo, soprattutto perchè a lui le leggi sull'immigrazione gli fanno molto ribrezzo.
Fin qui sembra tutto bello, tutti felici, evviva la bontà, i macarons... E invece no!
Se Roma spara e la polizia risponde pure a Le Havre i gendarmi non vogliono essere da meno e così si mettono alla ricerca del ragazzo per imballarlo e rispedirlo nel Gabon.
Si intesse allora una rete di solidarietà fra gli abitanti del quartiere che fanno di tutto perchè lo scurfaniello (per gli amici Idrissa) non venga intercettato dal Commissario Monet, elemento noir del film, probabilmente perchè è sempre vestito di nero.
Il destino funesto vuole anche che la signora Arletty si ammali gravemente.
Solo un miracolo la può salvare!
Le sue amiche pensano che la cura migliore sia leggerle novelle di Kafka; il marito invece  le regala i fiori più costosi.
Nell'aria canta spesso Edith Piaf.
Nel frattempo Marcel contatta alcuni suoi amici che gli promettono di imbarcare clandestinamente Idrissa per la modica cifra di tremila euri.
E come si fa, che quelle sono genti poverissime?
Facile, si organizza un concerto benefico!
Little Bob, un rockettaro settantenne la cui chioma è l'icona della TestaNera si esibisce mandando il pubblico in visibilio.
In sala intanto, io ed Annamaria raccogliamo le adesioni al "Little Bob fans club".
I soldi ci sono, Idrissa parte.
Tutti speriamo che nella lavanderia cinese di Londra in cui lavora sua madre venga usato ammorbidente biodegradabile.
E la signora Arletty?
E' guarita.
Adesso sapete perchè il titolo del film è questo.




Per iscrivervi al "Little Bob fans club" lasciate un commento qui sotto.

mercoledì 30 novembre 2011

Come sentirsi vicini alla morte cerebrale: Giulia Carcasi e il suo "Tutto torna" (tranne il mio tempo perso)

Mi piace andare in biblioteca.
C'è una bella atmosfera, tutti spulciano fra i libri in silenzio. Ognuno cerca il suo piccolo pezzetto di mondo da portare a casa, al sicuro.
Io, invece, ho trovato Giulia Carcasi.
Che culo!
Oggi mi sento di voler condividere con voi questa immensa scoperta.
Sedetevi, i marshmellow sono nel terzo cassetto della scrivania, fà niente se li ho presi all'Eurospin.
Pronti?
C'è un tizio che si chiama Diego, ma la madre lo chiama Roberto.
Perchè? Chi è Roberto?
Non lo sappiamo.
Questo è il primo atroce dubbio che la scrittrice ci sottopone.
Diego fu Roberto fa un lavoro magnifico: è un professore universitario che sta revisionando un vocabolario.
Per me che dormo stretta al Treccani sarebbe l'uomo perfetto. Questo, se non parlasse come il cugino di Fabio Volo, quello che non impastava ma leggeva Harmony e poi alla fine si è laureato in Scienze della comunicazione.
Diego vive in un mondo di gggénte che conta, che va ai party e beve Martini, che c'ha le femmine con lo stacco di coscia delle conigliette di Playboy.
Per lui questa gggénte è finta, perchè non sa cosa vuol dire la profondità delle emozioni.
E'un uomo così sensibbbile che c'ha persino la paura delle gallerie e così, sul treno Pisa-Roma che lo sta riportando a casa, ha un mancamento e subito una deliziosa donzella giunge in suo soccorso.
Comincia così questa complicata et lagrimosa storia d'ammmòre.
Lei lo cambia, lei lo capisce, lei lo completa!
Lei è Grecia Colmenares.
E che fai, non te la sposi una così? Eccerto!
Dopo una sequela interminabile di struggenti abbracci, promesse di non addormentarsi mai voltando le spalle all'altro, di alzare la mano ed avvisare se stai andando in bagno da solo, lui scopre che lei è una bugiarda patologica.
Una che si sta curando, ma tutti gli istituiti la cacciano perchè è una donna socialmente pericolosa!
Insomma, il loro ammmòre sono tutte bugggìe.
Certo è che, secondo me, lei fa un pò finta.
Diego ci vuole appioppare sua madre che c'ha la demenza senile e quindi capiamo che vuole risparmiare i soldi per la badante moldava.
E allora, mie care persone, cosa succederà adesso???
La Carcasi ancora una volta ci sorprende e si gioca il jolly della malattia fulminante cancerosa e così GreciaSpostata Colmenares decede.
Sarà solo in quel momento che Diego capirà che le bugggìe erano solo un pretesto per nascondersi dall'ammmòre, che lui poteva anche sposarsela una che ti dice:"Oggi ho mangiato la pasta col tonno" ed invece si è spazzolata i resti del take-away cinese della sera prima.
Perciò, come tutti i professori sadici di questo mondo, si sfoga sui suoi studenti bocciandoli tutti.
I ragazzi, a loro volta, l'avranno certamente jastimato a livelli non misurabili con nessuno strumento.
Infine, non ancora soddisfatto, compie un'azione di pura malvagità: corre urlando in Piazza dei Miracoli prendendo in pieno tutti i piccioni che incontra.
Fine.
Il mio consiglio è: se vedete qualcuno fare la stessa cosa aprite l'ombrello.

Giulia Carcasi, "Tutto torna", Feltrinelli, pp. 122, 2010

lunedì 28 novembre 2011

Ieri Melancholia, oggi 'mbaranoia. *State attenzione che ve lo racconto tutto*

Ciao persone.
Lo sapete ormai, sta la crisi.
Quando sta la crisi significa che le nostre tasche sono più libere di contenere le nostre mani fredde.
Allora che si fa quando sta la crisi?
Andiamo al cinema ma all'orario presto, che si paga di meno e con il resto ci compriamo le Goleador (che sono sempre utili).
E allora alle 15.30, nella bollenterrima saletta del Tibur, io e il mio fidato Ing. appresso a quattro vecchiarelli e due baldi giovini, ci siamo guardati Melancholia di Lars Von Trier.
Perchè questo film se prima ci eravamo abbuffati di lasagna?
Perchè a noi ci piace darci le arie da intellettuali.
Il film è una figata.
Comincia con una serie di immagini angoscianti e portatrici di sventura.
Uccelli che cadono dal cielo proprio come la merda degli stormi a Roma, il tutto condito da un meraviglioso Wagner che fa arrizzicare le carni.
La prima parte porta il nome di Justine (Kirsten Dunst) , una delle sorelle protagoniste della pellicola.
E' il giorno del suo matrimonio.
La festa non è come quella di mio cugino di Altamura, però si difende bene.
E' la sposa che ha grossi problemi.
Ride e scherza, si 'mbriaca, piscia in un campo da golf, si sbatte un perfetto sconosciuto nella stessa buca umida, poi decide che è giunta l'ora di farsi un bagno caldo.
Insomma, il tipico comportamento che ogni sposa adotterebbe.
Nel frattempo lo sposo vuole conquistarla con la foto di un frutteto, ma nisba.
Nel film compare anche Udo Kier nei panni di un wedding planner che detesta la sposa.
Si è poi saputo che Enzo Miccio ha avuto una crisi isterica quando è stato scartato ai casting.
Insomma, c'è del disagio.
Poco male, tanto la sera i due si sono già lasciati e lui chiede pure scusa a lei (qui è evidentissimo il famoso surrealismo alla Von Trier di cui tutti parlano).
Nel frattempo, l'Ing dorme.
La signora seduta accanto a me si rimette il cappotto. Le è venuto il freddaddosso perchè non c'erano le bomboniere.
Comincia la seconda parte che porta il nome di Claire (Charlotte Gainsbourg, j'adore), sorella maggiore di Justine, coniugata e con prole.
Cioè,un solo prolo: un bambino con ventordicimila lentiggini e il colorito di Casper.
L'Ing si sveglia e mi dice che quello che interpreta il padre è Kiefer Sutherland, il tizio di 24.
Abbbéh.
Insomma, anche lei è una donna disagiata.
La sorella, però, sta messa molto peggio.
Si sente Rosemary Altea, forse ha uno spirito guida, non lo sappiamo.
Dice che tutti dovemo morì.
E' arrivata Memento!
Perchè dovemo morì?
Perchè ci sta un pianeta di nome Melancholia che rimbalza i colori come quelle lampade a fibra ottica anni '70 che si scontrerà con la Terra e ci ridurrà tutti in una fumante ed informe poltiglia.
Allora prima tutti a festeggiare in terrazza  e a credersi che gli è andata di lusso, ma poi capiscono che KirstenRosemaryMemento Dunst c'aveva ragione e mentre Sutherland si spara un colpo (chè si sa, i maschi non reggono la tensione), le due e il pargolo ritrovano il progetto di una cattedrale di Renzo Piano, lo riadattano e costruiscono una capanna con dei rami di legno.
E poi. BOOOOOOOOOOM! Tutto finito.

Cosa mi ha lasciato questo film? Un dubbio, atroce.

'Ndò cazzo li hanno trovati quei rami di legno lunghi tutti uguali?

ps.No, la foto delle tette della Dunst versione Tintarelladiluna qui non la trovate.







mercoledì 9 novembre 2011

Boris Vian "Sputerò sulle vostre tombe"

Estate 1946.
Boris Vian, con lo pseudonimo di Vernon Sullivan scrive, in 15 giorni, questo libro.
E scatena l'inferno.
Viene denunciato per "offesa alla pubblica morale", processato, multato.
La critica lo stronca, ma il pubblco lo ama. Vende in pochissimo tempo migliaia di copie.
Cosa ci sarà di così terribile in questo romanzo,viene da chiedersi.
C'è di tutto.
C'è un nero dalla pelle bianca, assetato di vendetta. Ci sono bianchi ricchi e razzisti. Ci sono ragazze calde, giovani e disponibili. Ci sono automobili che sfrecciano e fiumi di alcool ad annebbiare il sangue. Ci sono due sorelle, stuprate ed ammazzate. Ci sono bambine prostitute e giovani pedofili.
C'è tanto schifo e disperazione, ossessione e pena. Ci si ritrova a stringersi nelle coperte, attraversati da un misto di disgusto ed eccitazione.
Si finisce per credere che sia tutto vero. Troppo.
Consigliato agli stomaci forti,ma anche alle lettrici pucci-pucci, chè ogni tanto un pò di sano realismo aiuta.

Mondadori, Oscar, 138 pp., 2011

sabato 24 settembre 2011

Haruki Murakami "Norwegian wood Tokio blues"

Certe canzoni nascondono mondi che neppure immagineresti, certi libri sono una canzone che l'autore continua a sussurrarti all'orecchio mentre leggi.
E' sulle note dei Beatles che Tòru Watanabe rievoca, nel non luogo perfetto, un aereoporto, il suo passaggio dall'adolescenza all'età adulta.
E' un ragazzo Tòru, come molti.
Appassionato di letteratura americana, perennemente in bilico tra l'essere e l'apparire, tra la "normalità" e il disperato tentativo di identificarsi con gli "altri".
E' sospeso, come ogni giovane uomo.
Porta con sè il senso di vuoto che lascia il suicidio di Kizuki, il suo migliore amico. Una morte senza perchè.
Sa che la vita è dolore e perdita e non ci sono alternative: o la si rifiuta, o la si accetta nel suo intrecciarsi di bene e male, divenire e finire.
Proprio questo divario rappresentano le due figure femminili del romanzo: la dolce e fragile Naoko(fidanzata dell'amico Kizuki) e l'esuberante Midori, che lo attraggono con la stessa intensità.
Sarà la vita, infine,a decidere per lui.
Quella vita che, come Murakami fa dire a Tòru, non è qualcosa di opposto alla morte, ma ne è una parte intrinseca.
Consigliato a chi porta sempre negli occhi un pò di nostalgia.

Einaudi,Collana Super Et, 379 pag., 2006

Niccolò Ammaniti "Che la festa cominci"

Durante un'intervista televisiva, presentando "Che la festa cominci", Ammaniti ha detto: "Dopo aver scritto Come Dio comanda ho pensato: scrivo una cazzata, una cosa che può far ridere."
E aveva ragione!

Due sono le storie che si intrecciano nel romanzo: quella di Saverio Moneta, leader di una sconclusionata setta satanica e quella di Fabrizio Ciba, affascinante scrittore di grido ai ferri corti con la sua casa editrice.
Sullo sfondo, un pantagruelico party a Villa Ada, nella Città Eterna, organizzato da Sasà Chiatti, un mafioso cafoncello arricchito, smanioso di emulare i fasti delle corti romane.
Un safari surreale, a metà fra Alice in Wonderland e Il Mago di Oz, che ha come protagonisti veline, tronisti, politici da due soldi, chirurghi estetici un pò macellai, destinati ad una fine grottesca.

Ok, non sarà il romanzo del secolo,ma è davvero comico.
Soprattutto perchè racconta, anche se in maniera paradossale, la triste anima dell'Italia di oggi.
Un piacevole divertissement, consigliato a chi ha molti chilometri davanti a sè.

Einaudi, Stile libero Big, 328 pag., 2009

Haruki Murakami "After dark"

La rete di sogni intessuta da Murakami ti imprigiona.
La tua mente impastata di sonno immagina Eri, bellissima ed eterea ninfa, addormentata per scelta.
Mari, sua sorella, che nella notte invece si inabissa, con i suoi libri e il cappellino dei Red Sox calato sugli occhi.
Le note profonde del trombone di Takahashi che risuonano in un vecchio e fumoso scantinato.
Kaoru, con il corpo e l'animo forgiato dalla lotta libera, che cerca una nuova speranza dirigendo un love hotel.
Il sangue di Guo Donri che macchia le lenzuola di quella stanza e le mani di Shirakawa, tanto leste su una tastiera quanto dure sulle donne.
Tokio che brilla sotto i neon, gli odori della strada che ti colpiscono in pieno volto, le lingue del mondo che si mescolano ed accarezzano l'orecchio.

Il sonno, rifugio sicuro quando la vita spaventa troppo.
Non lo dicevano anche i Subsonica?
"Dormi/che è meglio pensarci domani..."

Einaudi, Super Et, 180 pag., 2010

Junot Diaz "La breve favolosa vita di Oscar Wao"

Repubblica Domenicana, 1930.
Trujillo, uno dei dittatori più truci del XXsecolo, controlla ogni aspetto della vita politica, culturale e socio-economica del paese.
Su questo sfondo si stagliano le vicende della famiglia Cabral, perseguitata dal fukù, la maledizione.

Oscar, il protagonista, è un nerd obeso e brutto, lontanissimo dallo stereotipo del domenicano tutto merengue e muscoli guizzanti.
Passa le sue giornate a leggere fumetti e romanzi fantasy e scrive sperando di diventare il nuovo Tolkien.
Si innamora di continuo e di continuo viene respinto da ogni bipede di sesso femminile in circolazione.
L'ambiente machista dei domenicani trapiantati nel New Jersey, per i quali sono solo le tacchette segnate sul proprio letto a determinare il valore di un uomo, diventa presto un inferno per Oscar.
Sarà solo durante le estati a Santo Domingo che diventerà un "vero" uomo.

La scrittura di Dìaz è un frullato di stili:si passa dal linguaggio forbito e quasi ottocentesco ai riferimenti nerd-fantasy, (coadiuvati dai due glossari aggiunti alla fine del libro), allo slang crudo sudamericano.
Per quanto ambientato in una cultura assai diversa dalla nostra, viene del tutto naturale paragonare Trujillo ad un Ometto di nostra conoscenza, più preoccupato del rialzo nelle sue scarpe che delle sorti del nostro Paese.
Amaro ed ironico al tempo stesso, merita ampiamente il premio Pulitzer assegnatogli nel 2008.
Consigliato a chi ama la Allende, ma con un pizzico di pepe in più.

Mondadori, Piccola biblioteca oscar, 346 pag., 2009

Isabella Santacroce "Destroy"

Strazio, tedio, morte subitanea.

Saranno questi gli stadi che attraverserete durante la lettura di questo romanzo. (?)
Misty, venticinquenne italiana in avanscoperta a Londra, si droga da mane a sera alla ricerca di forti emozioni, si veste con materiali che utilizzereste solo per avvolgere gli avanzi della cena, si prostituisce, ma non troppo.
Insomma, tutto ciò che potreste aspettarvi da una che piace a Baricco.
La trama non esiste.
La Santacroce è convinta che basti "baroccheggiare" la scrittura e riempirla di epiteti qua e là per apparire subito misteriosa, tormentata ed intellettualoide.
Qualcuno le spieghi che non basta scrivere "cazzo" per essere Bukowski.
E gli imbarazzanti blocchi di testo, utilizzati evidentemente per prendere spazio?
Una tristezza infinita.
Sarà solo a pagina 107 però, che invocherete una morte subitanea, mentre cercherete disperatamente di comprendere perchè la Santacroce abbia aggiunto la sua wishing list natalizia al romanzo (o qualunque cosa questo libro abbia la pretensione di essere).
Da leggere solo per puro masochismo.

Collana universale economica Feltrinelli, 112 pag.,2003