giovedì 27 settembre 2012

Comunque vada non importa di Eleonora C. Caruso



Un casale in campagna, una gallina da sgozzare, un fratello con il quale correre, le puntate di Sailor Moon da guardare. Hai pochi anni ed impari a farti le trecce, perché una bambina deve saperle fare, certe cose.

Sei felice quando ti graffi le ginocchia cadendo e l’erba ti sporca il vestitino. Poi diventi grande e il mondo non è quella tetta calda che pensavi di poter succhiare.

Devi decidere, devi crescere, devi muoverti. Devi fare.
Ma tu non lo sai, cosa. Ti guardi allo specchio e sei brutta. Forse non sei neppure intelligente. Nemmeno gli altri lo sono, in fondo, e tu non sei peggio di loro, ma ti manca il fiato per correre. E mentre quegli stronzi maratoneti vanno avanti, raggiungono gli ostacoli e li superano, segnano nuovi traguardi, scattano foto e ridono, si amano, si sposano, fanno figli brutti come fotocopie sbiadite, tu resti lì. Immobile. Il divano è la bottiglia nella quale affondi. Ad amarti distrattamente solo le tue mani. I capelli sempre sporchi ti incorniciano il volto acceso solo dallo schermo di un computer. I social network l’unico scambio con il resto del mondo, che le amiche in carne ed ossa le eviti da tempo. I tuoi manga, i porno ed i cartoni giapponesi uno spiraglio di luce.

Intorno a te, sul pavimento e nelle tue ossa, le macerie visibili del tuo franare. Un fratello che, alla stregua degli altri oggetti, non hai saputo lasciare quand’era il momento, vomita estratti di vita nella tazza del cesso. Eppure è bello, Andrea. È intelligente, brillante, un successo garantito, di quelli da bollino blu. Ha un ragazzo che toglie il fiato, una mamma che non c’è più che era anche la tua, ma lo amava, tanto. Resta tuo padre, con il quale “le conversazioni [...] sono sempre un gradino sopra a quelle e-mail dove mi chiedono se voglio incrementare la lunghezza del mio pene”.

Questo è il mondo di Darla.
Quello in cui vivi in bilico, soffocata dalla paura di non riuscire a diventare la donna che avevi immaginato.
Un esordio sorprendente, un pugno nello stomaco che vi farà male a lungo.
I can’t stay today
I’m off in flight towars another light
(Tori Amos, Garlands)
˜
Comunque vada non importaEleonora C. Caruso, Indiana Editore

Puoi leggere questa recensione anche su inutile

martedì 4 settembre 2012

I pochi fatti dell'estate meglio conosciuti come finalmente ho aggiornato il blog.

Cari miei 2,5 lettori,
l'estate. 
Ah, l'estate. 
Che palle.
Nonostante i novantamila gradi ed il torcicollo a causa del ventilatore, ho letto ed ho scritto per voi, miei prodi.
Bene. Mettiamo da parte le smancerie, so che voi volete sapere i fatti.

Fatto numero 1
-Ho letto una cosa brutta molto brutta. Trovate la mia recensione di Cinquanta sfumature di Grigio di E. L. James su inutile.

Fatto numero 2
-Conoscete la mia passione per la poesia, no? 
Allora, quando Rivista Tupolev ha lanciato il concorso B. R. A. Braccia rubate all'agricoltura non ho potuto esimermi dal dare il mio contributo ed ho partecipato con Ragazzo che suoni la tromba.
Udite udite, i pazzerelloni hanno creato un ebook con tutti i meravigliosi ed aulici poemi che hanno ricevuto.

Fatto numero 3
-Potete scaricarlo qui, naturalmente aggratise solo per voi che siete amici ammmé.

Fatto numero 4
-Asterischi ambisce a diventare cartaceo. E siccome noi siamo genti che ci tengono alla cultura, li aiutiamo sostenendoli con cannoli deliziosamente ripieni e con il vile, seppur sempre utile, danaro. Clicca qui per far sentire loro tutto il tuo ammòre.

Che altri fatti volete sapere? Méh.





Fatto numero 5
-26 ottobre.



giovedì 19 luglio 2012

Mistificazioni e misticanze



Non lo nego.

Coltivavo in me la segreta speranza di diventare una mistica, anche solo per essere finalmente apprezzata dai miei familiari.

E qualche ora fa tremavo di gioia!
Improvvisamente nell'aria ho avvertito un soave profumo!

Ho subito escluso l'effluvio che lanciavano le melanzane ripiene preparate da mia madre, il Glade di quelli che vogliono fare la cacca da Paolo(a proposito Paolo, sicuramente dopo Santo Stefano ci vediamo), la colonia Denim di mio padre.

Cazzo! ho pensato (anche se questo non è proprio il linguaggio adatto alla mia posizione di aspirante mistica, ma ho tempo per espungere il male dal mio spirito), sarà il famoso profumo di Padre Pio, quello che possono sentire solo i più devoti!

E LUI ha scelto ME fra schiere di uomini che si battono il petto invocando il SUO nome!

Entro in assetto monacale, mi metto una pashmina in testa a mo' di velo e chiamo mia madre, per renderla partecipe di questo grande momento.

"Mammamammamamma! Senti anche tu questo profumo? E' un profumo di fiori! Poi dite che in questa casa sono l'unica dimenticata da Cristo! Questo è il profumo di Padre Pio!"

E lei, con un sorriso sardonico:"Ho spruzzato un pò di Autan, che poi dici che le zanzare ti mangiano!"
Non ho parole.



Comunque, Amen.

Mi darò all'uncinetto.


(Mark Ryden, Saint- Barbie)

venerdì 13 luglio 2012

E così vorresti fare lo scrittore? di Charles Bukowski


C'era una volta una lei, bella, giovane ed invincibile.
Una lei che amava forte e spaventava, ma non sapeva fare altrimenti.
C'era una volta un lui, bello, giovane ed invincibile.
Si portava addosso i colori della sua terra, le strade sterrate delle campagne sarde.
Lei voleva fare la scrittrice.
Lui voleva fare lo scrittore.
Si impastavano le vite, lui con la farina, lei al telefono con gente annoiata.
E la sera dopo l'amore, leggevano.
Bukowski. Hank. Buk.
"E così vorresti fare lo scrittore?".
Si che lo volevano, cazzo.
Ma scrivere di cosa, se c'era già chi parlava per loro?
Charles l'aveva raccontata la vita.
Aveva urlato la sua rabbia in un bicchiere, trascinato le sue scarpe lontano, cercato voracemente l'amore fra le gambe di molte.
Aveva pianto guardandosi i segni allo specchio, sognato di poter volare senza morire mai, desiderato un altro corpo e un'altra faccia, sentito la paura travolgerlo mentre si massacrava le dita sulla macchina da scrivere.
Aveva rinunciato alle certezze della vita per un tetto di stelle, puntato danaro su cavalli creduti vincenti, consegnato lettere prima che tutti smettessero di scriversi.
Aveva disperatamente cercato di essere diverso per poi scoprirsi uguale a tutti gli altri.
Aveva compreso che la vita è uno scherzo beffardo e che “se non riesci a ridere/ delle avversità insormontabili/ che tutti sopportiamo mentre/ cerchiamo di capire/ e di sapere/ allora/ sicuramente riposerai/ senza pace/ nella/ bara.”
Non si è fermato mai Hank, anche quando la malattia lo divorava e la birra non bastava mai.
Ha dato le risposte, quelle vere, a lei, a lui, a te, a me.
Loro non hanno smesso, nè di scrivere, nè di farsi domande e tu, non credere a quelli che ti dicono che la poesia è morta, che non vale niente.
Senza Buk sapresti come giocarti questa partita? 

ma quando un uomo sta soffrendo non pensa in modo lucido,/ va in cerca solo di guai/ peggiori./ e/ li trova.


Charles Bukowski
E così vorresti fare lo scrittore?
Guanda Editore


Puoi leggere questa recensione anche su Setteperuno

lunedì 9 luglio 2012

Ritrovarsi. Forse.





Il silenzio di una casa vuota.
La confortante sicurezza del buio.
Io. 
Il mio corpo. 
Il deserto.
"Ci sei o sei stata inghiottita da te stessa?" ti chiedi.
"Ci sei?", ti chiedi ancora.
E apri le mani, fletti le dita curiose.
Vuoi sentirti. 
Vuoi esplorarti. 
Vuoi toccarti. 
Vuoi riconoscerti.
Chiudi gli occhi.
La pelle morbida e calda scorre sotto i tuoi polpastrelli.
Accarezzi il tuo collo, lo sfiori appena.
Circumnavighi i tuoi nei, che improvvisamente ti sembrano pieni di significato.
Disegni la forma dei tuoi seni e senti i tuoi capezzoli risvegliarsi, dolcemente.
E scivoli verso il basso, giocando con il tuo ombelico, tracciando mille piccoli cerchi concentrici, uno dentro l'altro.
Senti un brivido correre lungo la tua schiena.
E allarghi le gambe piano, lasciando che le tue dita si avvicinino al centro del tuo universo, al tuo fuoco.
Il cuore ti batte. Fortissimo.
Un calore inaudito rimbalza sulle pareti di te, lasciando affogare le tue piccole rosse e pulsanti labbra in una leggerissima spuma marina.
Senti il sangue fluire velocemente, il respiro diventare affannoso.
Il cuore ti batte forte. Fortissimo.
E ci sei.
Si, ci sei.
Esisti. E lo senti.
No, non sei la brutta copia di te stessa.
Non ancora.

martedì 3 luglio 2012

Quando che certe cose ormai le sai.


E'scientificamente provato che se uno dei tuoi familiari ti vede lavare il bagno,  attenderà che tu abbia finito per dichiarare candidamente:"Madò, c'ho da cacare".



[Hegel]


(Pure lui c'aveva i suoi problemi.)

giovedì 28 giugno 2012

Le cose che non so dire.


Per me Roma sa di rinascita.

Sa di aria nuova.

E’ il cercarsi e il non ritrovarsi mai, nelle strade, nell’architettura dei palazzi, nel cielo inclemente che sembra voler contenere tutti gli umori del mondo nelle sue nuvole.
E’ il cercare di memorizzare ogni particolare.

E’ il perdersi in un quadro di Corot e di Van Gogh e ridere del povero De Chirico.

E’ guardarti mentre con gesti di consumata consuetudine metti su il caffè e mi chiedi come ho dormito e se ho fatto uno dei miei sogni strampalati.

Roma è fare la spesa da Conad suscitando la curiosità di un vecchiarello del quartiere.
“Signorina, è la seconda volta che ci incontriamo nel giro di poche ore. Lei è molto carina. Ma non è di qui, vero? Il suo accento me lo conferma.”
E’ inventarsi una storia verosimile, perchè i fatti miei non te li dico, vecchietto impiccione.

Roma è sedermi a fumare davanti alla finestra ed osservare le bottiglie di plastica anti piccioni che fiammeggiano al sole.
E’ cucinare per te e con te, lamentarmi delle tue pentole, regalarti il cestino per il bagno che non userai mai.

E’ guardarti mentre ti radi, ti spogli, ti lavi i denti.
E’ il non riuscire a dormire dopo la serata più lunga della mia vita, perchè tu stai russando e il tuo divano mi toglie la vita.

E’ il sapere di potermi addormentare al sicuro, anche se al sicuro non lo sono mai.
E’ quel volto, il tuo.

Che mi sembra di conoscere in ogni sua piega,ogni suo colore, ogni sua perfetta imperfezione.

E invece non lo so, non lo so mai davvero.
E mi piace, tanto.










mercoledì 13 giugno 2012

Signorina Cuorinfranti di Nathanael West


"Caro [...] ti scrivo perchè non riconosco più me stessa. Mi sento insoddisfatta e non riesco ad accettare le banalità della vita. Per non mostrare agli altri il mio tormento faccio la simpatica e la disinvolta, ma dentro di me sta per scoppiare una rivoluzione. [...] Mi fanno ridere tutti quei ragazzi che vedo andare a messa, la domenica mattina, con l'abito buono, a recitare la patetica parte dei figli perfettini, quando magari i loro sogni sono altri..."


Volevo essere felice a tredici anni, ma non sapevo come.
Allora ho preso una penna, un foglio ed ho scritto all'angolo della posta di un giornale, sicura che chi mi avrebbe letta sarebbe stato in grado di darmi la soluzione.
Cercavano questo forse “Cuore-Spezzato, Disperata, Stanca-di-tutto, Delusa-dal-marito-tubercolotico”?
Una soluzione?
Vergavano furiosamente la loro disperazione su carta scadente.
Ogni riga era, per Miss Lonelyhearts, una feroce staffilata.
Che cosa aveva capito da quando teneva quella rubrica sul New York Post Dispatch?
Solo una cosa contava per gli uomini e per le donne: la felicità.
Non contavano i soldi, la bellezza, la grammatica, la dignità, i viaggi.
Non contava chi raccoglieva le loro confidenze.
Contava solo la felicità.
Che lavoro assurdo era, quello?
All'inizio lo trovava divertente, buffo, molto meglio che fare il galoppino per pochi soldi.
Poi quell'ombra gli si era insinuata dentro e aveva compreso che Cristo, si, l'uomo insanguinato sulla croce che teneva di fronte al letto, sarebbe stato l'unica via da percorrere.
L'Arte, i sassi, il sesso, l'alcool, Dostoevskij non erano abbastanza.
Anche quando tutto gli esplodeva intorno e lo rendeva cieco, e l'odore della pelle di quella donna gli ricordava il whisky che non aveva bevuto, e la camminata di quell'uomo muoveva a pietà la sua mano, e le risate dei suoi colleghi lo facevano sentire l'Eletto.
Nulla poteva toccarlo, nemmeno quella corsa sulle scale, inebetito dalla grazia dello Spirito Santo.
Caro Nathanael West, grazie per avermi calciato le gengive con tutta questa tristezza made in America.
Se non fosse stato per te, avrei continuato a credere che il 1933 fosse stato solo un lungo, ultimo valzer con Zelda Fitzgerald.


"La maggior parte dei giorni riceveva più di trenta lettere, tutte uguali, ritagliate dalla sfoglia della sofferenza con lo stesso affilato stampino a forma di cuore."




Signorina Cuorinfranti
Nathanael West
Minimum Fax


Puoi leggere questa recensione anche su SettePerUno



domenica 27 maggio 2012

Un giorno questo dolore ti sarà utile di Peter Cameron



Com’è stata la vostra giovinezza?
Eravate anche voi sovrappeso, brufolosi e tormentati?

Sembrava anche a voi che nessuno vi capisse, che i vostri pensieri fossero “troppo” per i bigotti benpensanti che vi circondavano?

Passavate anche voi i pomeriggi a devastarvi l’anima con Kurt Cobain, l’angelo biondo che vi rendeva felici dall’aldilà?

Anche James Sveck, protagonista di “Un giorno questo dolore ti sarà utile” è completamente immerso nei torbidi liquami dell’adolescenza.
Newyorkese, genitori divorziati, un padre manager ossessionato dalla giovinezza, una madre gallerista un po’ isterica, una sorella gerontofila che frequenta professori universitari con le toppe di velluto sulla giacca in tweed.

Molti libri a mangiare la solitudine, l’isolamento volontario e il sogno di vivere da solo in una casa del Midwest scovata su internet.
Una nonna adorabile che sa decifrare i silenzi ed un amico-collega omosessuale a cui giocare tiri mancini.

Un mondo nel quale si muove arrancando, contrastando la banalità dei suoi coetanei, cercando un senso al cambiamento.
Perfino disteso sulla chaise longue della psicologa a cui i genitori lo hanno affidato.
Un libro delicato, pervaso di un’ironia malinconica che gli ex ragazzi ed i “nuovi” non potranno non apprezzare.

Se siete stanchi del giovane Holden, inseguite James Sveck che sì, ha gambe decisamente buone.

Da questo libro è stato tratto anche il film del 2011 di Roberto Faenza, dall’omonimo titolo.

Peter Cameron
Un giorno questo dolore ti sarà utile
Adelphi

Puoi leggere questa recensione anche su Cosmopolis.

martedì 22 maggio 2012

Morte malinconica del bambino Ostrica di Tim Burton



I bambini.

Creature tenere, dolcissime, indifese, che mandano in sollucchero chiunque agitando le loro paffute manine, che sorridono e sciolgono il ghiaccio artico.

Bambini che noi adulti educhiamo a dire sempre "acie" e "pego", a cui chiediamo di rispettare le regole.


Bambini a cui diciamo che siamo tutti uguali pur avendo la pelle di colore diverso e diverse tradizioni, anche se sappiamo che non è vero e che non si tratta solo di una mera questione etnologica.
Bambini che vestiamo e pettiniamo in un certo modo, a cui regaliamo dei giocattoli piuttosto che altri, a cui insegniamo un concetto di "diversità" più grossolano, che gli fa storcere il naso davanti al compagnuccio che gli propone qualcosa di non convenzionale.
Bambini che vorremmo diventassero adulti migliori di noi.

Eppure continuiamo a trattarli come creature che "non capiscono" e gli raccontiamo favole edulcorando il finale, che un lupo che muore è troppo scioccante.
Non credo che sarà una storia con un lieto fine a proteggerli dalle brutture del mondo: è la conoscenza che fornisce le armi per affrontarle.

Allora chiediamo aiuto a Tim Burton, al suo Morte malinconica del bambino Ostrica, al suo orrore delicato e nostalgico.
Raccontiamogli di questi strambi personaggi: del Bambino Mummia che viene scambiato per una pignatta, di Lalla che sniffava la colla e dei fazzolettini appiccicati al suo nasino, della bambina che si tramutò in letto, dei genitori paurosi che si rivolgono ai medici pur di avere un figlio "normale".
Leggiamo e ridiamo con loro, mostriamogli l'illustrazione della Bambina con molti occhi, spieghiamo loro cosa si nasconde dietro quella miriade di iridi.
Abituiamoli a non giudicare ciò che non conoscono.
Forse scopriremo che anche loro si sentono un po' come il Bambino Supermacchia: dei piccoli super eroi con un solo unico grande potere, quello di farsi amare così come sono.

Morte malinconica del Bambino Ostrica, Tim Burton, Einaudi

Puoi leggere questa recensione anche su La magia di un libro.



lunedì 7 maggio 2012

Favola, principi azzurri pettoruti e trecce alla tirolese

Ve lo ricordate il livetweet selvaggio di Jolly Blu, il film degli 883 per gli amici di Inutile?
Ommioddio, ve lo ricordate!
Adesso c'è un account twitter che offre gratuitamente agli intellettuali quel senso di ribrezzo che tanto vanno cercando e agli altri di ammettere serenamente che Il ragazzo dal kimono d'oro ci piace: StraCult!
Una domenica al mese forevàh sceglieremo un film e lo livetwitteremo; potrete intervenire e proporre anche voi titoli che vi abbiano fatto sognare, a patto che siano brutti, veramente brutti.
Qui sotto trovate lo storify del film di ieri: Favola con Ambra Angiolini quando ancora non abitava nelle canzoni del boccoloso Renga.


Un particolare ringraziamento va alla rivista Inutile, a Matteo Scandolin e alla trasmissione Tourette che ha annunciato il lieto evento.
Buon divertimento!





sabato 28 aprile 2012

A volte ritorno di John Niven



Sono andata al catechismo dalla signorina Ada per anni.

Lei e il suo porro mi spiegavano tutti i fatti di Dio e di suo figlio Gesù Cristo e le punizioni divine se mangiavi troppe caramelle, se usavi la gomma d'altri o se scrivevi "Giovanni è siemo" su un foglietto e lo facevi girare in classe.
Avevo sette anni e le credevo.
Dio era un gigante con la barba di Merlino e la voce che faceva l'eco, Gesù Cristo era quello sempre insanguinato che non lo potevi toccare, sennò ti tagliavi.
Le parole d'ordine erano tre, come la Trinità: Splendore, Timore, Giudizio.
Poi sono diventata grande ed ho cominciato a farmi domande. E non ho più smesso.
Come John Niven.
Fare Dio è un lavoro, non dite di no.
Catastrofi, guerre, gente che si ammazza per un parcheggio, Belen che litiga con Emma, gente che considera la Smart una macchina.
Reggereste a tutto questo stress senza prendervi una vacanza?
Pure l'Altissimo ha diritto di scialarsi.
Solo che il tempo in Paradiso scorre diversamente ed al suo ritorno bisogna recuperare secoli e secoli di lavoro.
Bello il Rinascimento, eh? Guarda adesso!
Non basta una buona mano di bianco per cancellare tutto.
Una nuova inondazione, un' altra arca? La volta prima non aveva funzionato tanto bene.
Ci si gioca l'ultima chance, si fa scendere in campo il Figlio, ripulito.
Lunghi capelli biondi boccolosi profumati di Maria ed occhi azzurri di vera bontà.
Niente luci assurde alla Zeffirelli.
New York, il ventre di una vergine del Midwest, una chitarra, un gruppo di aspiranti musicisti fancazzisti e poveracci e il palco di American Popstar.
Una divinità come te e me, che non ha poteri di levitazione e moltiplicazione, che non ruba ma prende in prestito, che beve, ama, canta, che si gode la vita.
Niente pregiudizi, niente costrizioni.
Un solo comandamento: "Fate i bravi".
Un libro imperdibile, dissacrante (mi sembra l'aggettivo giusto), sarcastico, sincero.
E non vi offendete, che tutte quelle cose sulla chiesa e su Benedetto le sapete pure voi.
Anzi, se c'avete l'indirizzo passate, che devo ancora mandargli qualcosa per il compleanno.

A volte ritorno
John Niven
Einaudi

"Ogni volta che canta, Gesù ne sdraia una"
Puoi leggere questa recensione anche su Setteperuno

venerdì 27 aprile 2012

Dio la benedica, dottor Kevorkian di Kurt Vonnegut



Ci sono notti in cui abbandonarsi fra le braccia  di Morfeo è difficile.

Specie quando sai cosa c'è che non ti fa dormire.
Ce la raccontiamo, è vero, che siamo solo di passaggio, che solo l'anima conta e quello che abbiamo seminato lungo la nostra strada, che siamo parte di un ciclo e che ritorniamo sotto forma di energia, che forse andiamo in un posto migliore.
Non lo so. 
So che ho guardato sul mio comodino e la copertina acida di “Dio la benedica Dottor Kevorkian” di Kurt Vonnegut mi sorrideva.
Non potevo scegliere libro più adatto.
Un visionario, folle e brillantissimo scrittore che conduce interviste immaginarie nell'aldilà.
Come? Attraverso l'esperienza premorte.
Aiutato dal Dottor Kevorkian (il famoso Dottor Morte) si fa un viaggetto fino alle porte del Paradiso e poi ritorna.
Parla con Adolf Hitler, che vorrebbe essere perdonato; con William Shakespeare potentemente offeso per Giulietta e Romeo con la Paltrow; con Salvatore Biagini, morto per aver salvato il suo cane dall'aggressione di un altro animale più forte. 
Esilarante, provocatorio, amaro e disarmante questo libro sa trattare con delicatezza il tema della fine, mettendo da parte tutte le belle favolette che ci hanno raccontato e lasciando via libera a quello che tutti sogniamo dopo: scegliere di avere per sempre l'età in cui siamo stati più felici.


Kurt Vonnegut
Dio la benedica, dottor Kevorkian
minimum fax

Puoi leggere questa recensione anche su Cosmopolis


lunedì 23 aprile 2012

Del diventare grandi (Nadia Terranova, The Artist e le bevande viola salutiste)

E' il primo di marzo.
Fa stranamente caldo a Roma.
Sono a casa da sola a mangiare uno stupido yogurt.
La tv suona Lucio Dalla che ha deciso di lasciarci proprio oggi.
Il cronista di Sky tg 24 infila una banalità dietro l'altra.
Si diventa così stupidi davanti alla morte!
Fra qualche ora incontrerò Nadia Terranova.
Un' intervista, capite? Un' intervista!
Io terrona dalle vocali chiuse e dai capelli assurdi incontrerò una scrittrice!
Ricontrollo mille volte il percorso da fare per arrivare in via del Governo Vecchio, alla libreria AltroQuando.
Già so che mi perderò per l'ennesima volta.
Confido nella benevolenza degli dei e nel ritardo delle giovani scrivane.
Salgo, scendo.
Mi riconosci perchè sono quella con il naso incollato al vetro dell'autobus ed il sorriso ebete, pure quando una promoter mi regala dei crackers al basilico di non so dove.
Importuno tassisti, turisti, tabaccai.
Lo sapevo che non ci arrivavo, lo sapevo!
Poi la trovo, la libreria e mi lascio confortare dalla sua atmosfera.
Mi guardo nello specchietto, sistemo i capelli e ripasso il lucidalabbra.
Sembro una che aspetta il principe azzurro.
Come nelle migliori favole, mi distraggo proprio quando non dovrei.
Lei è accanto a me e mi sorride, con moltissimi denti!
La frase più intelligente che riesco a dire è: "Quanto sei alta!"
Tristezza.
Ci accomodiamo ad un tavolino dell' Abbey Theatre, davanti ad un finestrone che regala una vista splendida.
Parliamo, tanto.
Ridiamo.
Lei beve una cosa arancione tipo festa delle medie, io una cosa salutista solo perchè è viola.
Non mi delude perchè è vera, è umana.
Anche quando si muove silenziosa ne La casa delle letterature e mi racconta di come è bello il giardino interno quando fiorisce.
Ci salutiamo alla fermata del bus e mi sento la ragazza più fortunata del mondo.
Ho passato un pomeriggio splendido e adesso mi attende la saletta buia del cinema Tibur.
Il bianco e nero di The Artist.
E' la prima volta che vado al cinema da sola.
Sono diventata grande.
E mi piace.





giovedì 12 aprile 2012

Quando mi hai lasciato mi hai lasciato tre mutande: il dilemma della biancheria intima per Charles Bukowski











C’è chi nasce per vivere in modo ordinario.

Sveglia, colazione, ufficio, moglie, figli, il sesso della domenica mattina in silenzio, il pranzo dalla suocera, il gelato in centro.

C’è chi nasce per vivere ordinato, pettinato, incravattato.

C’è chi viaggia perchè si fa così, che ad Atene ci sono solo quattro pietre e la Tour Eiffel è tutto ferro sprecato.

Poi c’è Charles Bukowski.

E il mondo ordinario/ordinato va a farsi benedire e finisce come un foglio di carta appallottolato in un angolo, di quelli che contengono appunti stupidi o idee brutte.

C’è che lui sa esattamente come vivere, sa come non prendersi in giro, sa come non regalare illusioni.

La vita è bastarda, è così.

I suoi versi non ti indoreranno la pillola, saranno un pugno in pieno viso.
Ti faranno sputare sangue, ti faranno piangere come un bambino perchè è tutto sbagliato, perchè ti sentirai sbagliato.

Ti sentirai un idiota.

Le tue ginocchia si piegheranno davanti alla dolcezza delle onde dei suoi capelli che odorano di sale.

Le sue parole ti faranno vergognare perchè tu non hai rischiato mai veramente.

Questo è “Quando mi hai lasciato mi hai lasciato tre mutande” di Charles Bukowski.

Perchè la poesia è dietro i tuoi occhi.



Quando mi hai lasciato mi hai lasciato tre mutande, Charles Bukowski, Minimum fax

Puoi leggere questa recensione anche su Cosmopolis