sabato 28 aprile 2012

A volte ritorno di John Niven



Sono andata al catechismo dalla signorina Ada per anni.

Lei e il suo porro mi spiegavano tutti i fatti di Dio e di suo figlio Gesù Cristo e le punizioni divine se mangiavi troppe caramelle, se usavi la gomma d'altri o se scrivevi "Giovanni è siemo" su un foglietto e lo facevi girare in classe.
Avevo sette anni e le credevo.
Dio era un gigante con la barba di Merlino e la voce che faceva l'eco, Gesù Cristo era quello sempre insanguinato che non lo potevi toccare, sennò ti tagliavi.
Le parole d'ordine erano tre, come la Trinità: Splendore, Timore, Giudizio.
Poi sono diventata grande ed ho cominciato a farmi domande. E non ho più smesso.
Come John Niven.
Fare Dio è un lavoro, non dite di no.
Catastrofi, guerre, gente che si ammazza per un parcheggio, Belen che litiga con Emma, gente che considera la Smart una macchina.
Reggereste a tutto questo stress senza prendervi una vacanza?
Pure l'Altissimo ha diritto di scialarsi.
Solo che il tempo in Paradiso scorre diversamente ed al suo ritorno bisogna recuperare secoli e secoli di lavoro.
Bello il Rinascimento, eh? Guarda adesso!
Non basta una buona mano di bianco per cancellare tutto.
Una nuova inondazione, un' altra arca? La volta prima non aveva funzionato tanto bene.
Ci si gioca l'ultima chance, si fa scendere in campo il Figlio, ripulito.
Lunghi capelli biondi boccolosi profumati di Maria ed occhi azzurri di vera bontà.
Niente luci assurde alla Zeffirelli.
New York, il ventre di una vergine del Midwest, una chitarra, un gruppo di aspiranti musicisti fancazzisti e poveracci e il palco di American Popstar.
Una divinità come te e me, che non ha poteri di levitazione e moltiplicazione, che non ruba ma prende in prestito, che beve, ama, canta, che si gode la vita.
Niente pregiudizi, niente costrizioni.
Un solo comandamento: "Fate i bravi".
Un libro imperdibile, dissacrante (mi sembra l'aggettivo giusto), sarcastico, sincero.
E non vi offendete, che tutte quelle cose sulla chiesa e su Benedetto le sapete pure voi.
Anzi, se c'avete l'indirizzo passate, che devo ancora mandargli qualcosa per il compleanno.

A volte ritorno
John Niven
Einaudi

"Ogni volta che canta, Gesù ne sdraia una"
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venerdì 27 aprile 2012

Dio la benedica, dottor Kevorkian di Kurt Vonnegut



Ci sono notti in cui abbandonarsi fra le braccia  di Morfeo è difficile.

Specie quando sai cosa c'è che non ti fa dormire.
Ce la raccontiamo, è vero, che siamo solo di passaggio, che solo l'anima conta e quello che abbiamo seminato lungo la nostra strada, che siamo parte di un ciclo e che ritorniamo sotto forma di energia, che forse andiamo in un posto migliore.
Non lo so. 
So che ho guardato sul mio comodino e la copertina acida di “Dio la benedica Dottor Kevorkian” di Kurt Vonnegut mi sorrideva.
Non potevo scegliere libro più adatto.
Un visionario, folle e brillantissimo scrittore che conduce interviste immaginarie nell'aldilà.
Come? Attraverso l'esperienza premorte.
Aiutato dal Dottor Kevorkian (il famoso Dottor Morte) si fa un viaggetto fino alle porte del Paradiso e poi ritorna.
Parla con Adolf Hitler, che vorrebbe essere perdonato; con William Shakespeare potentemente offeso per Giulietta e Romeo con la Paltrow; con Salvatore Biagini, morto per aver salvato il suo cane dall'aggressione di un altro animale più forte. 
Esilarante, provocatorio, amaro e disarmante questo libro sa trattare con delicatezza il tema della fine, mettendo da parte tutte le belle favolette che ci hanno raccontato e lasciando via libera a quello che tutti sogniamo dopo: scegliere di avere per sempre l'età in cui siamo stati più felici.


Kurt Vonnegut
Dio la benedica, dottor Kevorkian
minimum fax

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lunedì 23 aprile 2012

Del diventare grandi (Nadia Terranova, The Artist e le bevande viola salutiste)

E' il primo di marzo.
Fa stranamente caldo a Roma.
Sono a casa da sola a mangiare uno stupido yogurt.
La tv suona Lucio Dalla che ha deciso di lasciarci proprio oggi.
Il cronista di Sky tg 24 infila una banalità dietro l'altra.
Si diventa così stupidi davanti alla morte!
Fra qualche ora incontrerò Nadia Terranova.
Un' intervista, capite? Un' intervista!
Io terrona dalle vocali chiuse e dai capelli assurdi incontrerò una scrittrice!
Ricontrollo mille volte il percorso da fare per arrivare in via del Governo Vecchio, alla libreria AltroQuando.
Già so che mi perderò per l'ennesima volta.
Confido nella benevolenza degli dei e nel ritardo delle giovani scrivane.
Salgo, scendo.
Mi riconosci perchè sono quella con il naso incollato al vetro dell'autobus ed il sorriso ebete, pure quando una promoter mi regala dei crackers al basilico di non so dove.
Importuno tassisti, turisti, tabaccai.
Lo sapevo che non ci arrivavo, lo sapevo!
Poi la trovo, la libreria e mi lascio confortare dalla sua atmosfera.
Mi guardo nello specchietto, sistemo i capelli e ripasso il lucidalabbra.
Sembro una che aspetta il principe azzurro.
Come nelle migliori favole, mi distraggo proprio quando non dovrei.
Lei è accanto a me e mi sorride, con moltissimi denti!
La frase più intelligente che riesco a dire è: "Quanto sei alta!"
Tristezza.
Ci accomodiamo ad un tavolino dell' Abbey Theatre, davanti ad un finestrone che regala una vista splendida.
Parliamo, tanto.
Ridiamo.
Lei beve una cosa arancione tipo festa delle medie, io una cosa salutista solo perchè è viola.
Non mi delude perchè è vera, è umana.
Anche quando si muove silenziosa ne La casa delle letterature e mi racconta di come è bello il giardino interno quando fiorisce.
Ci salutiamo alla fermata del bus e mi sento la ragazza più fortunata del mondo.
Ho passato un pomeriggio splendido e adesso mi attende la saletta buia del cinema Tibur.
Il bianco e nero di The Artist.
E' la prima volta che vado al cinema da sola.
Sono diventata grande.
E mi piace.





giovedì 12 aprile 2012

Quando mi hai lasciato mi hai lasciato tre mutande: il dilemma della biancheria intima per Charles Bukowski











C’è chi nasce per vivere in modo ordinario.

Sveglia, colazione, ufficio, moglie, figli, il sesso della domenica mattina in silenzio, il pranzo dalla suocera, il gelato in centro.

C’è chi nasce per vivere ordinato, pettinato, incravattato.

C’è chi viaggia perchè si fa così, che ad Atene ci sono solo quattro pietre e la Tour Eiffel è tutto ferro sprecato.

Poi c’è Charles Bukowski.

E il mondo ordinario/ordinato va a farsi benedire e finisce come un foglio di carta appallottolato in un angolo, di quelli che contengono appunti stupidi o idee brutte.

C’è che lui sa esattamente come vivere, sa come non prendersi in giro, sa come non regalare illusioni.

La vita è bastarda, è così.

I suoi versi non ti indoreranno la pillola, saranno un pugno in pieno viso.
Ti faranno sputare sangue, ti faranno piangere come un bambino perchè è tutto sbagliato, perchè ti sentirai sbagliato.

Ti sentirai un idiota.

Le tue ginocchia si piegheranno davanti alla dolcezza delle onde dei suoi capelli che odorano di sale.

Le sue parole ti faranno vergognare perchè tu non hai rischiato mai veramente.

Questo è “Quando mi hai lasciato mi hai lasciato tre mutande” di Charles Bukowski.

Perchè la poesia è dietro i tuoi occhi.



Quando mi hai lasciato mi hai lasciato tre mutande, Charles Bukowski, Minimum fax

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martedì 3 aprile 2012

Consigli setteperunici su Contemporary Art (Bukowski- Little Miss Sunshine- Marina città vecchia Taranto)



Per cercare la bellezza ovunque… Ad Albuquerque o nella Marina della città vecchia di Taranto.



Leggere: Quando mi hai lasciato mi hai lasciato tre mutande, di Charles Bukowski


Non ho mai creduto che la poesia fosse estranea alla realtà. Puoi raccontare di cieli assolati, del primo germoglio, del mare in tempesta, di un ermo colle. O puoi innamorarti della donna che al banco del pesce taglia per te un trancio di pesce spada.


“La ragazza al mercato del pesce sta in piedi e mi volta le/ spalle. Ha indosso un grembiule marrone e ha i capelli lunghi/ biondo oro. Sono giù al porto e c’è pesce dappertutto.”


Non arrenderti, cerca la bellezza. Ovunque.



Guardare: Little Miss Sunshine, di Jonathan Dayton e Valerie Faris


Siamo ad Albuquerque, nel Nuovo Messico.


La famiglia Hoover è una di quelle che definiremmo “allargate” e assai strambe. Un capofamiglia con velleità da saggista, una moglie isterica, un nonno cocainomane, uno zio omosessuale reduce da un tentato suicidio, ossessionato da Proust, un adolescente che cerca equilibrio nelle parole di Nietzsche e la piccola Olive che ambisce a vincere il titolo di Miss California. Per permettere alla bimba di conquistare la fascia, saltano tutti assieme su uno sgarrupato pulmino alla volta del concorso. Un viaggio dall’esito imprevedibile che gli regalerà una serenità insperata.




Andare: alla Marina nella città vecchia di Taranto.


È la mia città.


Su quella banchina ho desiderato, scritto, sognato, riso. Ho visto pescatori dai volti rudi, consumati dal sole e dalla salsedine, cantare dolci nenie ai pesci ed aprire magicamente le valve viscide e luccicanti delle cozze. Offrirne il frutto, con un sorriso sdentato. Ho ascoltato lo stridio dei gabbiani, abbracciato tramonti. Ho cercato di dimenticare e di guardare oltre quelle ciminiere fumanti.


Fallo anche tu.


Un grazie speciale a SettePerUno e a Roberta Tedesco.

lunedì 2 aprile 2012

Il trash senza tempo: Jolly Blu, il film degli 883

Come evitare che la domenica delle Palme diventi la domenica delle Palle?
La soluzione è il TRASH.
Così ieri è partito il live-tweet del film "Jolly blu" degli 883, pietra miliare del cinema italiano.
Tutto questo grazie agli amici della Rivista Inutile e alla twittera @lolligestapo.
Qui potete leggere lo storify.
Buona letturvisione!

http://storify.com/inutileonline/tamara-e-jolly-blu





Nell'immagine Angelina Jolie il giorno del provino. Si è vista rifiutare la parte poi affidata alla Merz perchè "troppo provocante".
Ha poi avuto una crisi epilettica causata dalla fantasia della camicia di Pezzali.